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domenica 17 settembre 2017

Delitto talsanese d'altri tempi.

Le cronache giornalmente raccontano omicidi di donne, fatti che stravolgono famiglie, sconvolgono Paesi, coinvolgendone gli  abitanti. Storie che fanno la storia di un luogo.
Anche  Talsano ha la sua, una terribile storia che nel 1921 turbò la tranquillità  de 'U Calavrese. La storia di Camilla Lecce, di cui qualcuno (sempre meno) ne parla ancora oggi con rispettoso timore, anche se gli anni trascorsi hanno calato una coltre di oblio che ha fatto dimenticare i nomi di molti dei protagonisti e quelli sino ad oggi tramandati, non sono attendibili.

Camilla Lecce, era orfana di madre, essendo la maggiore era lei a mandare avanti la casa, ad accudire il padre e le tre sorelle e lavorava in una delle tante masserie della zona.
Camilla aveva sedici anni, era ingenua e, nonostante la sua giovane età, amava un ragazzo ma questa relazione era contrastata dal padre che, non apprezzava quel giovane e non voleva perdere l'aiuto che quella figlia apportava in casa.
A fare da "portennùsce" (da tramite) ai due fidanzatini era un certo Giglio, marito di Lucia  "comare" della famiglia di Camilla (comare di battesimo, cresima o di semplice vicinato non è certo sapere).
Camilla era veramente bella e proprio la sua bellezza fu causa di invidie, gelosie e malelingue che decretarono il suo infelice destino:


"Era il mese di giugno quando in paese cominciò a girare voce che Camilla era stata sedotta da Giglio. Diceria (vera o presunta) che arrivò alle orecchie di Lucia e scatenò la sua insana gelosia.
Lucia passò giorni d'inferno e notti insonni finché un giorno  affrontò Camilla e la picchiò, accusandola di essere una donnaccia e di aver distrutto la sua famiglia. Camilla negò con tutte le forze quelle accuse ma invano, la comare, pur conoscendola dalla nascita, non credeva nella sua innocenza. Lucia parlò anche col fidanzato della ragazza, accertandosi che fosse al corrente del tradimento, ferendone l'onore. Non contenta, convinse il marito che per placare la sua gelosia avrebbe dovuto uccidere la ragazza.
I tre organizzarono tutto nei minimi dettagli facendosi aiutare anche da loro conoscenti e la tragedia ebbe inizio...
Il fidanzato disse a Camilla che
le voleva bene ma non potevano andare avanti così e che se anche lei lo amava,  doveva "scappare" con lui e che Giglio li avrebbe aiutati.
Camilla, messa alle strette, non seppe dire di no e concordò con Giglio di aspettarla all'uscita dalla masseria dove lavorava come domestica, per accompagnarla dal suo fidanzato. 

Quella notte fu lunga e insonne, Camilla sapeva che quella fuga avrebbe addolorato il padre e le pesava dover andare via di nascosto, senza poter salutare ne lui ne le sorelle. Per questo scrisse un biglietto dove li salutava e li rassicurava perché lei era felice del suo destino con l'uomo che amava. Ripose il biglietto nella "cascia" del corredo, al quale lei, con la fuga d'amore, sapeva di dover rinunciare.
Terminata la giornata di lavoro, fuori dal cancello della masseria, puntuale l'aspettava Giglio e insieme si incamminarono. Uscirono dal paese e arrivati verso "le Spagnule" (contrada Spagnoli) in zona 'a Cattije ( zona "la cattiva" - la vedova) Camilla s'impaurì vedendo che il suo fidanzato era con un gruppo di persone, tra cui la comare Lucia che pochi giorni prima l'aveva menata. Giglio la rassicurò dicendole che erano amici e che con la comare aveva chiarito tutto lui. Ma appena fu davanti a loro, tutti cominciarono ad insultarla. La ragazza implorò il loro perdono, ma non ebbero pietà, a turno infierirono su di lei e la uccisero con una ventina di coltellate, legarono il suo corpo ad un pesante masso e la buttarono nel pozzo.
Intanto il padre di Camilla tornato a casa e non vedendo la figlia, andò in masseria dove gli fu detto che la ragazza era già andata via. Impensierito andò dai carabinieri a denunciare la scomparsa di Camilla. 
Le ricerche della ragazza cominciarono subito, quella stessa notte i carabinieri andarono a casa del fidanzato il quale riferì che non la vedeva già da qualche giorno.
Era la mattina del 30 giugno quando un contadino che lavorava a Rapidde (zona Rapillo) si avvicinò al pozzo per abbeverare il cavallo ma, riempito il secchio, l'animale si rifiutò di bere. Buttò quell'acqua e riempì di nuovo il secchio ma, mentre lo tirava su dal pozzo, si accorse che nel secchio c'era una lunga ciocca di capelli. Avvertì immediatamente i carabinieri che nel giro di poche ore recuperarono il corpo della sventurata Camilla. E in poche ore 'u Calavrese si svuotò. I Talsanesi, increduli dell'accaduto, accorsero tutti "suse 'a Cattije".
Solo un uomo passò da lì, in bicicletta senza neanche voltarsi. Fu proprio quell'ostentata indifferenza ad insospettire i carabinieri che lo fermarono. Era il fidanzato di Camilla che fu immediatamente portato in caserma per essere interrogato. 


Le indagini fecero il loro corso ma il mio racconto finisce qui perché, non è dato sapere di più.

La storia di Camilla fu immortalata lo stesso anno nel "Canto di Camilla" opera del M° Luigi Di Giorgio, nato a Taranto, cresciuto a Napoli per motivi di salute, vissuto a Talsano per questioni di cuore. 
Grazie a lui questa triste storia viaggiò per i paesi limitrofi, cantata dai cantastorie e della quale rimaneva impresso il verso finale:
" Camilla, di te mi sono vendicato!
Ora contento su questo pozzo affacciato,
il primo a ballar quadriglia sono stato."